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Cartine degli insediamenti - mostra su Guardia Piemontese


All’inizio del XVI secolo la geografia degli insediamenti valdesi nel sud Italia consisteva in piccoli borghi distribuiti principalmente in due aree: paesi della Calabria Citra, a nord-ovest di Cosenza, ed alcuni paesi situati fra le attuali province di Foggia, Benevento e Avellino.
Secondo la tradizione, nel corso del XIV secolo gli insediamenti valdesi in Calabria si sarebbero sviluppati dapprima a Montalto, successivamente a San Sisto, Vaccarizzo, Argentina, San Vincenzo e infine a La Guardia, crescendo ancora di numero. Quel territorio, parte del viceregno di Napoli sotto il dominio spagnolo degli aragonesi, era amministrato da alcuni signori locali: Pietro D’Aragona, duca di Montalto, e Salvatore Spinelli, marchese di Fuscaldo. È stato stimato che la popolazione valdese di quei borghi raggiungesse a quell’epoca la cifra di circa settemila unità.
Presenti in Puglia almeno fino dal XIV secolo, nel corso del secolo successivo gruppi di famiglie valdesi dalla Provenza, per sfuggire alle persecuzioni ad opera del papato avignonese, furono costrette ad emigrare e a dirigersi verso l’entroterra campano ai confini con la Puglia, insediandosi a Monteleone, Montaguto, Faeto, Celle e la Motta, per giungere, intorno all’anno 1500, anche a Volturara. Si trattava di piccoli borghi situati tra la Capitanata (entroterra foggiano), l’Irpinia e il Beneventano, dipendenti da cinque sedi vescovili (Ariano, Benevento, Bovino, Troia e Volturara). A metà Cinquecento su quei territori esercitavano la loro signoria rispettivamente Vincenzo Carafa, Ferrante Caracciolo, la famiglia Bernaudo, Cesare Gonzaga. Costoro avevano a lungo non solo “tollerato” ma apertamente favorito l’insediamento di “ultramontani”, tanto che Volturara, il più popoloso fra quei paesi, era «quasi tutta abitata da piemontesi e provenzali».
Fino all’inzio del XVI secolo, la sopravvivenza in quei luoghi fu resa possibile da un minore controllo dell’Inquisizione e dalla capacità di adattamento, la conquista di piccoli spazi di autonomia e il mantenimento di tradizioni proprie e di una lingua distinta (l’occitano e il francoprovenzale).

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