Il progetto calviniano si impone a Ginevra grazie alla forte presenza di immigrati francesi e italiani, più numerosi i primi, più qualificati i secondi.
Questi ultimi costituiscono una comunità importante, che conta migliaia di fedeli; chiesa autonoma con un proprio locale di culto, un pastore, un consiglio di anziani che gestisce una borsa dei poveri.
Essi mantengono fra loro la lingua d’origine, tanto che Giovanni Diodati, professore di teologia nel Seicento, saprà ancora usarla per la sua traduzione della Bibbia, divenuta famosa.
Questi esuli sono ecclesiastici: Bernardino Ochino generale dei cappuccini, Gian Luigi Pascale martire a Roma, Scipione Lentolo; uomini di cultura: Giulio Cesare Pascali, messinese, che tradurrà l’Istituzione, il giureconsulto Matteo Gribaldi; imprenditori: le famiglie lucchesi Balbani, Diodati, Burlamacchi, Turrettini, che introducono a Ginevra l’industria tessile e l’attività bancaria e forniscono nelle generazioni successive i maggiori teologi per l’Accademia.
Patriarca della colonia è il marchese Galeazzo Caracciolo, napoletano, diplomatico alla corte di Carlo V che ha abbandonato tutto per la fede evangelica.