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  • Ginevra e gli italiani
calvino

Il progetto calviniano si impone a Ginevra grazie alla forte presenza di immigrati francesi e italiani, più numerosi i primi, più qualificati i secondi.
Questi ultimi costituiscono una comunità importante, che conta migliaia di fedeli; chiesa autonoma con un proprio locale di culto, un pastore, un consiglio di anziani che gestisce una borsa dei poveri.
Essi mantengono fra loro la lingua d’origine, tanto che Giovanni Diodati, professore di teologia nel Seicento, saprà ancora usarla per la sua traduzione della Bibbia, divenuta famosa.
Questi esuli sono ecclesiastici: Bernardino Ochino generale dei cappuccini, Gian Luigi Pascale martire a Roma, Scipione Lentolo; uomini di cultura: Giulio Cesare Pascali, messinese, che tradurrà l’Istituzione, il giureconsulto Matteo Gribaldi; imprenditori: le famiglie lucchesi Balbani, Diodati, Burlamacchi, Turrettini, che introducono a Ginevra l’industria tessile e l’attività bancaria e forniscono nelle generazioni successive i maggiori teologi per l’Accademia.
Patriarca della colonia è il marchese Galeazzo Caracciolo, napoletano, diplomatico alla corte di Carlo V che ha abbandonato tutto per la fede evangelica.


CON GLI OCCHI DEL TEMPO
con gli occhi del tempo con gli occhi del tempo
(A sinistra) La “riscoperta” del testo biblico implica uno stretto rapporto fra studio filologico e predicazione: i vangeli vengono macinati nel “mulino di Dio”, in cui Cristo li ha versati; dalla macina escono la fede, la speranza, la carità e le opere; Erasmo raccoglie la fede trasformata in farina, mentre Lutero in veste di panettiere distribuisce i suoi libri, in cui la Parola di Dio è stata impastata (xilografia, Augusta 1521).

(A destra) Fra i molti temi biblici utilizzati nella polemica fra cattolici e riformati c’è l’Apocalisse: qui, mentre l’evangelista Giovanni misura il tempio di Dio, la Bestia che risorge e assale i due profeti di Cristo porta sul capo il triregno papale (Nuovo Testamento tradotto da Antonio Brucioli, Venezia 1532).

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